l’inferno. Qualcuno si fermava di tanto in tanto e si voltava indietro a sparare; i più venivan giù a precipizio col capo basso e le braccia aperte, inciampando, cadendo, rialzandosi per precipitarsi di nuovo, come forsennati; altri, feriti, barcollavano qua e là, o si rotolavano per le terre, gettando acute grida. Molti ufficiali e sergenti, ed anco soldati semplici, a quando a quando si fermavano, cercavano di trattenere gli altri, e gridavano: — Fermi! Non è nulla! Fronte al nemico! Fuoco! Non sono che un battaglione come noi! — Inutile; la fuga era irresistibile da tutte le parti. Quelli che avrebbero voluto resistere si picchiavano la fronte, si mordevano le mani, minacciavano, si scambiavano, come si poteva in quella confusione, ordini, consigli, cenni; finchè riuscirono a riunirsi in un drappello di cinquanta o sessanta. Allora presero la china di traverso, e correndo disperatamente, arrivarono tutti insieme dinanzi a un ponte che cavalcava il rio nella valle, prima che ci arrivasse il grosso dei fuggiaschi. Là si schierarono a traverso la strada, soldati e ufficiali alla rinfusa, stretti, in atteggiamento di difesa, risoluti a impedire il passaggio. Dopo pochi momenti arrivò la turba dei soldati, pallidi, senza fiato, col viso travolto, la più parte a capo scoperto, senz’armi. Arrivarono e si videro dinanzi quella schiera, tutta irta di sciabole, baionette, pistole; titubarono un istante, poi, mossi dal terrore che gl’incalzava alle spalle, gridarono tutti insieme: — Largo! — Fronte al nemico! — rispose dall’altra parte una voce risoluta. Piovvero in quel punto, dall’alto della collina, le prime palle nemiche; allora quello sciame di miserabili di scagliò sul piccolo gruppo dei valorosi; partirono alcuni colpi dalle due parti, caddero dei feriti; ne seguì un parapiglia senza nome. Gli ufficiali e i soldati fermi, afferravano gli altri per le braccia e pel collo, li scrollavano, li voltavano indietro a forza; quelli si divincolavano; si buttavano in terra, scivolavano a destra, a sinistra,