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6 un addio a firenze


me — v’è qualche cosa che si stacca e va su; c’è della vita in quelle forme! — Cominciai a capire certi amori ardenti per le glorie artistiche del proprio paese, e mi compiacqui nel sorprendere sul viso degli stranieri, che si fermavano sulla piazza, la prima espressione della meraviglia e del diletto. Presi l’uso di passare e di fermarmi tutti i giorni, a quell’ora, in quei luoghi. Mi accorsi che ogni giorno quella contemplazione di pochi istanti mi metteva in un corso d’idee alte e belle; sentii poi che la facoltà di quella maniera di diletto si rafforzava e s’estendeva ad altre forme dell’arte; che quel gusto del semplice e del grande s’insinuava anche un po’ nel sentimento e nel giudizio mio riguardo a cose che coll’arte non avevan che vedere, a fatti, a persone, a costumi; mi parve d’essere riuscito, per effetto di quel culto gentile, a domare certi moti impetuosi e quasi selvaggi dell’animo mio, a dare alla mia indole un che di più liscio e di più morbido, a migliorarmi in qualche cosa. Per questo presi ad amare quelle linee, quelle forme, quei colori; e non mi pareva più pazzo il Pieruccio dell'Assedio di Firenze che, povero e abbandonato, trova ancora un palpito di gioia segreta, sollevando gli occhi pieni di lacrime ai monumenti della sua cara città natale....

Questo seguì a me ed a molti. Ma per chi sia venuto qui nel fiore della giovinezza, con quell’irresistibile bisogno di aprire il proprio cuore e di gridare: — Guardate! — che ci assale appunto negli anni in cui si comincia a esser uomini e si è tuttavia un po’ fanciulli; — per chi sia venuto qui coll’intima coscienza di esser atto a qualcosa, senza saper che, nè come, nè quando; con un presentimento confuso, con un desiderio inquieto, con quella forza dentro che s’agita, e tenta e non rinviene l’uscita; per chi, essendo venuto qui in quello stato, abbia sentito, al lume di questo cielo e all’ombra di questi monumenti, squarciarsi come un