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ai coscritti. 165

neo della ragione può esser causa dell’infelicità dell’intera sua vita, lo può perdere per sempre. Bisogna ch’egli rompa bruscamente tutte le abitudini del passato; bisogna che rinunci a molti di que’ piccoli comodi e di quei modesti piaceri d’elezione che ogni altra condizione sociale, per quanto umile, permette. In molte occasioni, bisogna ch’ei ponga a repentaglio la salute e la vita nello stesso modo che altri arrischierebbe al giuoco uno scudo, senza esitazione e senza rammarico. Bisogna che molte volte egli sopporti fatiche tremende, che trascinano l’anima alla disperazione; fatiche a cui egli stesso si meraviglia poi d’aver potuto resistere, come quelle che reputava fermamente superiori alle forze mortali. La fame, la sete che mette il fuoco nelle viscere, deforma il sembiante umano e ottenebra l’intelletto; lo sfinimento che prostra l’uomo a terra come privo di vita; il sole che infiamma il cervello; la caldura che mozza il respiro; la trista solitudine del casotto nelle notti d’inverno, in mezzo al gelo e alla neve; le infermità non credute, che non esentano dalla fatica, e la convertono in un tormento e in un pericolo; le lunghe ore d’immobilità e di silenzio nelle rassegne; la compagnia obbligata di persone invise o sprezzate o ripugnanti; i sonni brevi e interrotti da subite chiamate e dalla necessità improvvisa di fatiche nuove; il cibo qualche volta malsano o scarso o tardo; le mille esigenze della condotta fuori del servizio; le cure minute e tediose della divisa e delle armi; l’isolamento da ogni classe di cittadini in città sconosciute; in qualche luogo e in qualche caso la diffidenza della popolazione, o l’antipatia, o l’ira aperta e l’odio; e mille altre cose.

Ma che perciò? Perchè la vita del soldato trae con sè questi mali, dovremmo noi fare come certi suoi mascherati amici, che dopo averglieli enumerati dal primo all’ultimo, ricominciano dall’ultimo per ritornare al primo? Che amicizia è questa, di aprir la piaga pel