dal Bossuet, in cui gli uomini non
hanno più la mente e il cuore ad altra cosa, che agli affari e ai
piaceri. Fuori di lì pare che non s’intenda e non si senta più nulla. La
morale, il dovere, l’abnegazione, il sagrificio, i principii più sacri
del pari che i sentimenti più nobili, sembra che pel generale degli
uomini si siano mutati come nei fantasmi d’un sogno, che brillano a
brevi istanti nel pensiero, e dileguano. E non è punto da meravigliare
quando si pensi che suol accadere dei popoli lo stesso che degli uomini,
e specialmente dei giovani. Come un giovane, dopo essersi sciolto (per
forza di qualche doloroso disinganno) da una passione violenta contratta
con molta speranza di felicità e di fortuna, ricade in un abbandono
spossato e tristo, e rinnega tutti gli affetti gentili che quella
passione gli aveva suscitati nel cuore, e deride tutti gli alti
propositi che gli aveva fatto fermare, e si butta allo scettico, e
divien freddo e duro; così il nostro paese dopo quella grande espansione
d’entusiasmo, di virtù e di fede che ha fatto quattro anni or sono con
esito tanto diverso dalla sua aspettazione, ora è caduto nell’apatia,
stanco, incredulo e svogliato. In mezzo a questo desolante spettacolo di
fracidi vizi e di virtù frolle, come dice il Giusti, l’esercito è quanto
gli rimane di meglio; ma la maggior parte, ripeto, non lo comprende più.
E perchè per comprenderlo bisogna aver cuore, e quando non s’ha cuore la
mente sola non basta ad afferrare il senso di certe cose; perchè quando
dal cuore sono fuggiti certi sentimenti e certe virtù, non si può più
capire un’istituzione che appunto da quelle virtù e da quei sentimenti
trae la sua vita e la sua forza; perchè quando non s’ha più spirito di
abnegazione e di sacrificio non si vede più che cosa importi a uno Stato
il possedere una grande scuola in cui quello spirito si fortifichi e
s’inspiri. Quindi, si considera l’esercito come un’altra qualunque
istituzione, di cui, quando non si toccano i frutti dì per dì,