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AI COSCRITTI.


Febbraio, 1870.

In queste sere s’è visto passare per la città molti coscritti. Passavano per lo più a notte fatta, quando le vie sono illuminate, e comincia il viavai delle carrozze, e quel vario agitarsi di gente allegra che è solito nei giorni di carnovale. Passavano in fretta, due a due, vestiti dei loro panni da paesani, ravvolti nelle coperte da campo, condotti da pochi soldati, voltandosi di qua e di là a guardare le porte dei teatri, le botteghe tappezzate di maschere e i banchi dei venditori di fiori, coperti di ghirlande e di mazzi. Della gente, altri dava loro un’occhiata di sfuggita, altri si fermava agli angoli delle vie per vederli sfilare, e qualche cocchiere bestemmiava ch’era costretto a fermare il legno; i fattorini dei caffè, col naso contro le vetrine, accompagnavano collo sguardo il drappello frettoloso fin che spariva.

Una sera fra le altre, trovandomi con un amico mentre passava uno di questi drappelli, gli dissi:

“Osserva in questo momento le faccie della gente che guarda, e dimmi se ne vedi una che abbia una espressione decente. Costui che c’è vicino ride d’una certa foggia di calzoni che aveva un coscritto che gli passò dinanzi. Quest’altro ha mormorato a fior di labbra: — Gli hanno un freddo da cani! — e se n’è andato