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il capitano ugo foscolo. 159

travedeva cogli occhi della mente le generazioni avvenire chinate innanzi alla sua immagine, Foscolo stette a sentire, e mandò giù e tacque; e s’egli tacque, altri può ben rassegnarsi a tacere: lo si pigli ad esempio anche in questo.

Ed oggi che la sua salma è restituita all’Italia, e di lui, della sua indole, del suo cuore, della sua vita si parla e si scrive con ardore nuovo e giudizi diversi, non ci sfuggano allo sguardo, tra le foglie della corona d’alloro, i galloni del vecchio berretto di capitano; tra i versi dei Sepolcri raffiguriamoci le cifre e le righe dei registri; poichè anche quel berretto coperse dei nobili sudori, e fors’anche su quei registri, qualche volta, a tarda notte, in una cameretta solitaria del quartiere di Valenciennes, egli lasciò cadere la fronte stanca e contristata. Teniamo conto della pietà gentile ch’ei nutriva pei suoi soldati laceri ed infermi, e dell’ira generosa con cui ne difendeva i diritti e ne proclamava i sacrifizi; mettiamo sulla bilancia anche quelle fatiche, quei disinganni, quei dolori; e in mezzo agl’inni e alle musiche che lo salutano grande cittadino e grande poeta, sorga un grido soldatesco accanto alla tomba, che dica:

Gloria al capitano Ugo Foscolo!

Forse, chi sa? s’egli si potesse destare un istante, quel grido, più che ogni altro, varrebbe a richiamare sulle sue smorte labbra un sorriso e un lampo nei suoi occhi infossati. Forse egli mormorerebbe con voce commossa: — Oh!... il mio campo di Boulogne! I miei soldati! —