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158 il capitano ugo foscolo.

grafi, — nè altre virtù potevan renderlo così accetto, com’ei fu, ai militari, non punto propensi a concedere la loro ammirazione a chi segue più riposato cammino.

Tale fu la vita militare di Ugo Foscolo.

Da ultimo, per i mutamenti politici e per quelli dell’animo suo, si stancò della carriera delle armi, e deliberò di escirne; ma non l’ottenne senza difficoltà e senza noie. Aspettava una riforma, non venne; chiese le demissioni, non gliele volevano dare; la divisa militare gli pesava; cosa che segue sovente anche ai dì nostri a chi la vestì con troppo ardore e troppe speranze.

«Questa divisa italiana — egli scriveva, — mi pare sì umiliata, sì misera, sì perigliosa, che io darei un paio di scudi a chiunque la portasse, quando io sono alle volte obbligato a portarla.»

E non la vestiva che per far rispettare la sua carrozza dai gabellieri.

Ma non fu colpa sua; a suo tempo ei l’amò, codesta divisa, e la vestì con orgoglio, e con orgoglio scrisse a Gioachino Murat quelle memorabili parole:

«Principe, le lettere sono il primo scopo della mia vita; ma io le ho sempre associate alle armi per dar loro il coraggio e l’esperienza, che distingue i grandi scrittori.»

E ricordino queste parole, e le ripetano sempre tutti i letterati militari presenti e futuri.

E ricordino pure, in certi momenti d’uggia e di stizza, quando il giogo della disciplina preme più forte, e il sangue comincia ad accendersi, ricordino che molte volte anche l’autore dei Sepolcri si sentì dire da qualche maggiore arrabbiato:

— Signor Foscolo!... le scale son sudicie.... Signor Foscolo!... lei non ha la cravatta d’ordinanza. Signor Foscolo!... si eserciti; lei non maneggia ancor bene lo stile d’ufficio! —

E Foscolo, focoso, indocile, superbo; Foscolo, che