Pagina:De Amicis - Ricordi del 1870-71.djvu/162

148 dell’istruzione delle donne.

Tutti mi guardarono, io arrossii.

Dopo pochi minuti quel tale era seduto dinanzi al piano e suonava; altri giuocavano alle carte; altri, nell’angolo opposto, giuocavano a certi giuochi di società di cui non mi ricordo. Da quel momento in poi io vidi ogni cosa come a traverso d’un velo. Lasciato solo in un canto, divoravo in silenzio la mia rabbia, la mia vergogna, la mia umiliazione; avrei voluto essere dieci metri sotto terra; mi sentivo il più infelice degli uomini. Oh i miei poveri sogni! mie speranze! miei libri! notti passate a tavolino, colla fronte ardente e il cuore in sussulto! Pensavo a mia madre e ne sentivo quasi pietà.... Se fosse qui — pensavo — se mi vedesse! Ma io non pretendeva mica molto, io, — dicevo poi tra me coll’accento d’un povero che si lamenta d’un rifiuto, — io non domandavo mica d’essere ammirato, festeggiato, lodato; io cercava solamente una parola gentile, uno sguardo che mi dicesse: — Ti conosco; — un sorriso da cui potessi capire che qui si sa ch’io penso, sento, lavoro. Ma siete dunque dei bruti, voialtri?

Ricordo, così in confuso, che mi fu portato il quaderno d’un bambino perchè ci facessi le correzioni. Ricordo che mi fu presentato un maestro di prima elementare, che mi domandò: — Che studi ha fatto? — dopo che la padrona ci aveva lasciati soli dicendomi colla più ingenua bonarietà: — Ho trovato una compagnia per lei. — Ricordo che mi fu domandato da una signora se in Toscana si parla bene, e ch’io risposi che parlavano molto bene i contadini; alle quali parole diedero tutti in una sonora risata. Ricordo che sul punto d’accommiatarmi, mentre tutti mi stavano guardando con un’aria così tra di curiosità e di compassione per la mia musoneria, un bambino mi salutò gridando: — Addio, poeta! — saluto che provocò un’ultima e sonora risata di tutta la compagnia. E finalmente mentre ero già in fondo alla scala un ultimo: —