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146 | dell’istruzione delle donne. |
La padrona di casa me le nominò tutt’e tre, e poi, accennando me a loro, disse:
“Il signor tale.”
Fecero tutt’e tre un cenno col capo.
“Giovane molto.... distinto.”
Altro cenno come prima.
“Che è tanto bravo a far delle composizioni.”
Seguì un istante di silenzio, io stavo là immobile come pietrificato.
“Compone musica?” domandò una delle tre signore con aria noncurante.
“No, no,” riprese la padrona; “compone (e mi volse uno sguardo interrogatore, stropicciando il pollice e l’indice della mano destra, nell’atto di chi fa scorrere del denaro) compone.... delle prose, non è vero?”
Accennai di sì. Le signore parvero poco soddisfatte; la padrona scomparve, io sedetti. Una delle tre statue, forse mossa a compassione dell’imbarazzo che mi si doveva leggere in viso, mi rivolse la parola. Era un’amica di mia madre, una delle lettrici.
“Dunque,” disse dopo aver pensato un po’, “lei si diletta a scrivere?”
“Sì, signora.”
“È un bel passatempo.”
Io la guardai.
“E poi,” continuò essa, “è anche uno sfogo.”
“Già.”
“Abbiamo tutti dei momenti in cui la piena dei pensieri ci sforza, per così dire, ad espanderci. Si direbbe quasi che è un bisogno che ha l’uomo.... lasciando poi da parte che è un ottimo esercizio, perchè s’impara a scrivere con facilità.”
“Dio!”
“Non c’è niente di meglio che la pratica in materia di scrivere. Ha qualche cosa di stampato?”
Mentre io mi voltavo a guardarla esterrefatto, si sentì in un angolo del salotto una gran risata. Alzai