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preti e frati. 123

volere, un grande edifizio di menzogne è caduto, e perdio, si potrà raccoglierne i ruderi, ma non si rifabbrica più.

Quante conversioni politiche hanno fatto i nostri soldati!

Quanto poi ai preti e ai frati, io avrei voluto leggere nel loro cuore la sera del 20 settembre. Se è vero che la meravigliosa dimostrazione di Roma, tanto superiore a ogni previsione e a ogni speranza, abbia più che commosso, sopraffatto e sbalordito nella corte pontificia i più fieri e ostinati nemici d’Italia, che non avrà potuto di più sul cuore dei molti in cui la convinzione era fiacca e la nimicizia determinata solamente dall’interesse? Quelle poche fibre italiane, che il conte di Cavour non voleva credere morte neanche nel cuore del Papa, debbono essersi scosse nel loro cuore la sera del 20 settembre. Le grida e i canti del popolo debbono essere risonati nelle celle silenziose dei monasteri, come un avvertimento, come un consiglio, come un rimprovero. Molti debbono aver invidiato dal più profondo dell’anima quella gioia; debbono aver rimpianto di essersi ridotti in condizione da non poterla godere; alcuni, forse, tendendo l’orecchio alle musiche lontane, debbono aver provato un sentimento di tenerezza mesta ed amara, debbono essersi ricordati di avere una patria, debbono aver sentito che l’amavano; debbono aver profferito in segreto il suo nome, debbono averla invocata, debbono aver domandato con sincere lacrime a Dio che ispirasse nel cuore del Pontefice il bisogno di riconciliarsi con lei, di riconoscerla, di benedirla, di troncare con una parola generosa la guerra insensata che in mezzo a tanta gioia e a tanto affetto li condannava alla solitudine e all’abbandono come rinnegati o stranieri.