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l’entrata dell’esercito in roma. | 99 |
tiva più rumore di colpi; le colonne a mano a mano entravano. Da una parte della strada si prestavano i primi soccorsi a due ufficiali di fanteria feriti; gli altri erano stati portati via. Ci fu detto che era morto valorosamente sulla breccia il maggiore dei bersaglieri Pagliari, comandante il 35º. Vedemmo parecchi ufficiali dei bersaglieri colle mani fasciate. Sapemmo che il generale Angelino s’era slanciato innanzi dei primi colla sciabola nel pugno come un soldato. Da tutte le parti accorrevano emigrati gridando. Tutti si arrestavano un istante, a guardare il sangue sparso qua e là, per la strada: sospiravano, e via.
La porta Pia era tutta sfracellata, la sola immagine enorme della Madonna che le sorge dietro era rimasta intatta, le statue a destra e a sinistra non avevano più testa, il suolo intorno era sparso di mucchi di terra, di materassi fumanti, di berretti di zuavi, d’armi, di travi, di sassi.
Per la breccia vicina entravano rapidamente i nostri reggimenti.
In quel momento uscì da porta Pia tutto il corpo diplomatico in grande uniforme, e mosse verso il quartier generale.
Entrammo in città. Le prime strade erano già piene di soldati. È impossibile esprimere la commozione che provammo in quel momento; vedevamo tutto in confuso, come dietro una nebbia. Alcune case arse la mattina fumavano, parecchi zuavi prigionieri passavano in mezzo alle file dei nostri, il popolo romano ci correva incontro. Salutammo, passando, il colonnello dei bersaglieri Pinelli; il popolo gli si serrò intorno gridando. A misura che procediamo nuove carrozze, con entro ministri ed altri personaggi di Stato, sopraggiungono. Il popolo ingrossa. Giungiamo in piazza di Termini; è piena di zuavi e di soldati indigeni che aspettano l’ordine di ritirarsi. Giungiamo in piazza del Quirinale. Arrivano di corsa i nostri reggimenti,