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ficio di ministro degli affari esteri a Tangeri. Io m’aggregai a loro.

Ero curioso di veder da vicino un ministro degli affari esteri, il quale, se gli stipendi non sono stati accresciuti da vent’anni in qua (cosa poco probabile), riceve dal governo settantacinque lire al mese, compreso il fondo per le spese di rappresentanza; lauto stipendio, nondimeno, appetto a quello dei Governatori, che è solamente di cinquanta. E non è a dire che questa carica sia una sine cura e vi si possa sobbarcare il primo venuto. Il famoso sultano Abd-Er-Rahman, per esempio, che regnò dal 1822 al 1859, non vi seppe trovare altr’uomo adatto che un Sidi-Mohammed-el-Khatib, negoziante di zucchero e di caffè, che pure facendo il ministro continuava a trafficare regolarmente a Tangeri e a Gibilterra. Le istruzioni, infatti, che questo ministro riceve dal suo governo, benchè sieno molto semplici, sono tali da mettere nell’imbarazzo anche il più sottile diplomatico europeo. Un console francese le ha formulate con molta precisione: — a tutte le domande dei consoli, rispondere con promesse; — di queste promesse differire fino al più tardi possibile l’adempimento; — guadagnar tempo; — suscitare difficoltà d’ogni natura ai reclamanti, — fare in modo che, stanchi di reclamare, desistano; — cedere, se minacciano, il