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mordesse mai la mano in cui era imprigionato. Quando fu stanco di quel lavoro, l’Aissaua strinse il serpente per la nuca, gli aggiustò un piccolo ferro nella bocca in modo da fargliela rimanere aperta, e lo mostrò così agli spettatori più vicini, perchè osservassero i denti; osservazione affatto superflua, se pure la sostanza venefica rimaneva, perchè non v’era stata morsicatura. Dopo ciò afferrò il serpente con due mani, si mise la coda in bocca e cominciò a menar le mandibole: la bestia si scontorceva furiosamente; io me n’andai inorridito.
In quel momento comparve nel Soc il nostro Incaricato d’affari. Lo vide dall’alto della collina il vice-governatore, gli corse incontro, e lo condusse sotto la sua tenda, dove si radunarono tutti i membri della futura carovana, io compreso. Allora accorsero suonatori e soldati, si formò un grandissimo semicerchio di arabi davanti all’apertura della tenda, gli uomini dinanzi, il sesso gentile, a gruppi, di dietro; e cominciò un concerto indiavolato di danze, di canti, di grida, di fucilate, che durò più di un’ora, in mezzo a un denso nuvolo di fumo, al suono d’una musica spietata, fra gli strilli entusiastici delle donne e dei bambini, con paterna soddisfazione del vice-governatore e nostro vivo piacere. Prima che finissero, l’Incari-