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nè suono di campane nè grida di venditori; non si vede nessun movimento affrettato nè di cose nè di persone; gli stessi Europei, per non saper dove battere il capo, restano per ore immobili in mezzo alla piazza; tutto riposa e invita al riposo. Io stesso, che son qui da pochi giorni, comincio a sentir l’influsso di questa vita molle e sonnolenta. Arrivato al Soc di Barra, mi sento irresistibilmente risospinto verso casa; lette dieci pagine d’un libro, il libro mi sfugge di mano; una volta abbandonata la testa sulla spalliera della poltrona, ho bisogno di riepilogarmi almeno un paio di capitoli dello Smiles, per riescire a risollevarla; e il solo pensiero del lavoro e delle cure che m’aspettano a casa, mi stanca. Questo cielo sempre azzurro e questa città tutta bianca sono un’immagine della pace inalterata e monotona che diventa a poco a poco, in chi abita questo paese, il supremo desiderio della vita. Ed ecco la cagione per cui interrompo qui le mie note. La mollezza affricana m’ha vinto.....


Tra la molta gente che ronzava intorno alla porta della Legazione v’era un moro elegante, che fin dal primo giorno m’aveva dato nell’occhio; uno dei più bei giovani che io abbia vi-