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partì la mattina; l’Ambasciata verso sera. Io, per veder la carovana sotto un nuovo aspetto, partii col convoglio dei bagagli.

E me ne trovai contento, perchè fu un tragitto pieno d’avventure.

Le mule cariche, accompagnate dai mulattieri e dai servi, andavano a gruppi, a gran distanza gli uni dagli altri. Partii solo e camminai per quasi un’ora sulle colline dove non vidi che una mula, condotta da un servo arabo, la quale portava due bisaccie di paglia, di cui una conteneva la testa e l’altra i piedi d’un palafreniere dell’Ambasciatore preso da una fortissima febbre, che gemeva da far pietà ai sassi. Il poveretto stava così coricato a traverso la mula, colla testa spenzoloni, col corpo inarcato, col sole negli occhi, e in quella maniera era venuto da Karia-el-Abbassi e doveva andare a Tangeri! E in quella maniera sono trasportati nel Marocco tutti i malati che non han denaro da noleggiare una lettiga e due mule, e fortunati coloro che possono almeno ficcar la testa in una bisaccia!

Dalle colline discesi sulla riva del mare.

Qui raggiunsi il cuoco, il Ranni e Luigi il calafato, che s’unirono a me e non mi lasciarono più fino ad Arzilla.

Per un’ora trottammo sulla sabbia, deviando di tratto in tratto dal cammino diritto, per scansare la marea.