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SUL SEBÙ


Era il mezzodì del quinto giorno della nostra partenza da Fez, quando, dopo una cavalcata di cinque ore a traverso una successione di valli deserte, ripassavamo per la gola Beb-el-Tinca e vedevamo un’altra volta dinanzi a noi la vastissima pianura di Sebù inondata d’una luce bianca, ardente, implacabile, di cui il solo ricordo mi fa salire le vampe al viso. Tutti, fuorchè l’Ambasciatore e il capitano, che partecipano della virtù favolosa della salamandra, di star nel fuoco senz’ardere, ci coprimmo il capo come fratelli della Misericordia, ci ravvoltammo con gran cura nelle cappe e nelle coperte, e senza profferire una parola, col mento sul petto, cogli occhi socchiusi, scendemmo nella terribile pianura, confidando nella clemenza di Dio. A un certo punto si sentì la voce del Comandante il