Pagina:De Amicis - Marocco.djvu/450

440 mechinez


porte, c'è un corridoio basso e oscuro, dove bisogna passare coi lumi, e il pavimento è di marmo nero, le pareti nere, la vôlta nera, e l'aria ha odore di sepolcro. In fondo al corridoio, v'è una gran sala, e nel mezzo della sala, un'apertura, che mette in un sotterraneo profondo, dove trecento neri gettano quattro volte all'anno, a palate, le monete d'oro e d'argento che manda il Sultano. Il Sultano sta a vedere. I neri che lavorano nella sala sono chiusi nel palazzo per tutta la vita. Quelli che lavorano nel sotterraneo non ne escono che morti. E intorno alla sala vi sono dieci vasi di terra, che contengono le teste di dieci schiavi che una volta tentarono di rubare. E Mulei-Soliman faceva tagliare la testa a tutti, appena i denari erano al posto. E nessun uomo è mai uscito vivo da quel palazzo fuor che il Sultano nostro signore. —

E raccontava questi orrori, senza dar il menomo segno d'indignazione, anzi quasi con un accento ammirativo, come se fossero cose sovrumane e fatali, di cui un uomo non dovesse giudicare nè provare altro sentimento che un misterioso rispetto.

— C'era una volta un re di Mechinez, — ripigliò poi colla sua inalterabile gravità, stando sempre ritto dinanzi alla nostra tenda, con una mano sull'impugnatura della sciabola; — il quale