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renti asciutti, palme solitarie, cube bianche, una splendida pace e una tristezza infinita. Ma a cagione della vicinanza delle due grandi città, incontrammo più gente che non ne avessimo mai incontrata sulla via da Tangeri a Fez: carovane di cammelli, grandi armenti, negozianti che conducevano al mercato di Fez stormi di cavalli bellissimi; santi che predicavano al deserto, corrieri a piedi e a cavallo, gruppi di arabe armate di falce che andavano alla mietitura, e parecchie ricche famiglie moresche che si recavano a Fez con tutte le loro masserizie e tutti i loro servi. Una di queste, la famiglia d’un ricco negoziante di Mechinez, che il Ducali riconobbe, formava una lunga carovana. Venivano innanzi due servi armati di fucile; e dietro a loro il capo della famiglia, un bell’uomo d’aspetto severo, con barba nera e turbante bianco, a cavallo a una mula elegantemente bardata; il quale con una mano teneva le redini e tratteneva un bimbo di due o tre anni seduto sul dinanzi della sella; coll’altra stringeva le mani d’una donna completamente velata, — forse la sua sposa favorita, — che gli stava alle spalle, a cavalcioni alla mula, tutta raggomitolata, abbracciandolo sotto le ascelle (forse per paura di noi) come se lo volesse soffocare. Altre donne, tutte col viso coperto, a cavallo ad altre mule, venivan dietro