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sanguinato, riempiendo l’aria di nitriti lamentevoli. Pensando che Arusi sia nel bosco, sguinzagliano i cani e s’avanzano colle armi nel pugno. Dopo un breve cammino, scoprono una casuccia diroccata, mezzo nascosta fra gli alberi. I cani v’accorrono e s’arrestano. I soldati li seguono in punta di piedi, arrivano alla porta, spianano i fucili... e li lascian cadere in terra gettando un grido di stupore. In mezzo a quelle quattro mura, stava disteso in terra il cadavere d’Arusi, e accanto a lui una bellissima donna, vestita splendidamente, coi capelli sciolti, la quale gli fasciava i piedi sanguinosi, singhiozzando, ridendo, mormorando con voce infantile parole di disperazione e d’amore. Era Rahmana. La condussero in casa di suo padre, vi stette tre giorni senza profferire parola e disparve. La trovarono qualche tempo dopo fra le rovine della casa del bosco, che raspava la terra colle mani, chiamando Arusi. E di là non si mosse più. — Dio, — come dissero gli arabi — aveva richiamato a sè la sua ragione ed essa era santa.
Se sia ancora viva, non si sa. Certo è che viveva ancora venti anni sono, e che la vide nel suo romitaggio il signor Narciso Cotte, impiegato al consolato di Francia a Tangeri, che ne ha raccontata la storia.