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30 | tangeri |
da due rabbiosi suonatori di piffero e di tamburo, chiedeva la limosina per lui di bottega in bottega. Gli passai accanto, mi mostrò il bianco dell’occhio; lo fissai, si fermò; mi parve che apparecchiasse qualcosa in bocca, mi scansai lesto lesto e non mi volsi più indietro. — Ha fatto bene, mi disse l’interprete, a scansarsi, perchè, se avesse sputato, lei non avrebbe avuto dagli altri arabi altra consolazione che di sentirsi dire: Non asciugare, fortunato Cristiano! Non cancellare il segno della benevolenza di Dio! Te benedetto, che il santo t’ha sputato sul viso!
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Sta notte ho inteso di nuovo il suono di chitarra e la voce della prima sera, e ho sentito per la prima volta la musica araba. In quella perpetua ripetizione dello stesso motivo, quasi sempre malinconico, c’è qualcosa che a poco a poco va all’anima. È una specie di lamentazione monotona che finisce per soggiogare il pensiero come il mormorio d’una fontana, il canto dei grilli e il battere dei martelli sulle incudini che si ode la sera passando vicino a un villaggio. Mi sento forzato a raccogliermi e a meditare come per afferrare