mettere almeno che questi sono elementi di valore, ed è incontestabile che questa gente ne diede molti e tremendi saggi alla Spagna. Dopo due mesi di guerra, l’esercito spagnuolo non aveva presi che due prigionieri, un arabo della provincia d’Oran e un pazzo che s’era presentato agli avamposti; e nella sanguinosa battaglia di Castillejos cinque marocchini soli, e tutti e cinque feriti, caddero nelle mani dei vincitori. La loro tattica tradizionale è di avanzarsi in massa contro il nemico, distendersi rapidamente, correre fino a mezzo tiro, sparare e ritirarsi precipitosamente per ricaricare le armi. Nelle grandi battaglie si dispongono a mezza luna, l’artiglieria e la fanteria al centro, e alle ali la cavalleria, che cerca d’avvolgere il nemico e cacciarlo fra due fuochi. Il capo supremo dà un ordine generale, ma ogni capo inferiore ritorna all’assalto o si ritira quando gli sembra opportuno, e l’esercito sfugge facilmente al comando principale. Cavalieri infaticabili, destri tiratori, tenaci dietro un riparo, facili a sgominarsi in pianura aperta, strisciano come serpenti, s’arrampicano come scoiattoli, corrono come caprioli, passano rapidamente dall’assalto temerario alla fuga precipitosa, e da un esaltazione di valore che pare pazzia furiosa a uno sgomento che non ha nome. Ci sono ancora nel Marocco dei mori impazziti di