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Più studio questi mori e più tendo a credere che non siano molto lontani dal vero, come mi parvero da principio, i giudizii dei viaggiatori, i quali sono concordi nel chiamarli una razza di vipere e di volpi, falsi, pusillanimi, umili coi forti, insolenti coi deboli, rosi dall’avarizia, divorati dall’egoismo, accesi delle più abbiette passioni che possano capire nel cuore umano. Come potrebbe essere altrimenti? La natura del governo e lo stato della società non permettono loro alcuna virile ambizione; trafficano e brigano, ma non conoscono il lavoro che affatica e rasserena; sono digiuni affatto d’ogni piacere che derivi dell’esercizio dell’intelligenza; non si curano dell’educazione dei propri figliuoli; non hanno nessun nobile scopo alla vita; si danno dunque con tutta l’anima e per tutte le vie ad ammassar danaro e dividono il tempo che loro riman libero da questa cura fra un ozio sonnolento che li sfibra e una venere cieca, smodata e grossolana, che gli abbrutisce. In questa vita effeminata diventano naturalmente pettegoli, vanitosi, piccoli, maligni; si lacerano la reputazione, gli uni cogli altri, con una rabbia