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giorno si passa fra il giuoco della palla e la storia del Kaldun; la sera fra gli scacchi e i canti, diretti dal Comandante, primo tenore di Fez. La notte la passerei meglio, se non mi passassero continuamente davanti, come fantasmi, i neri servi di Mohammed Ducali, che dorme in una stanzina accanto alla mia. Nella mia dorme pure il dottore e abbiamo fra tutti e due un povero diavolo di servo arabo che ci fa morire dalle risa. Ci dicono che è di famiglia, se non agiata, non bisognosa, e che s’aggregò come servo alla carovana, a Tangeri, per fare un viaggio di piacere. Appena arrivato a Fez, meta del suo viaggio di piacere, non so per che mancanza, ma per poca cosa di certo, fu legnato. Dopo d’allora si mise a servirci con uno zelo furioso. Non capisce nulla, nemmeno i gesti; ha sempre l’aspetto d’un uomo spaventato; gli domandiamo gli scacchi, porta la sputacchiera; ieri il medico gli disse d’andargli a prendere del pane; lui, per far più presto, gli portò un pezzo di crosta che trovò in mezzo al giardino. Abbiamo un bel rassicurarlo: ha terrore di noi, cerca di placarci con ogni sorta di servizi stranissimi, che non gli domandiamo: compreso quello di cambiare tre volte l’acqua nella catinella prima ancora che ci alziamo da letto. Di più, per farci una cosa grata, aspetta ogni mattina, ritto in mezzo alla