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rimase in piedi. Sua Maestà Mulei el Hassen parlò lungamente, senza mai levar le braccia di sotto la cappa, senza fare un movimento del capo, senza alterare d’un solo accento l’abituale monotonia della sua voce dolce e profonda. Parlò dei bisogni del suo Impero, di commerci, d’industrie, di trattati, scendendo a particolari minuti, con molto ordine e grande semplicità di linguaggio. Fece molte domande, ascoltò le risposte con viva attenzione, e conchiuse dicendo con un accento di leggera mestizia: — È vero; ma siamo costretti a procedere lentamente; — strane ed ammirabili parole sulle labbra d’un Imperatore del Marocco. Vedendo che non accennava mai, neanche negl’intervalli di silenzio, a troncare il colloquio, l’Ambasciatore si credette in dovere d’alzarsi. — Restate ancora; — disse con un certo garbo ingenuo il Sultano; — mi piace discorrere con voi. — Quando l’Ambasciatore, andandosene, s’inchinò per l’ultima volta sulla soglia della porta, egli abbassò leggermente la fronte, e rimase immobile, come un idolo, nel suo tempio deserto.