soldati della scorta che cercavano di rovesciare coi calci dei fucili una delle mille porte che durante la notte impediscono la circolazione per le strade di Fez. Il lavoro durò un pezzo; lampeggiava, tonava, scrosciava la pioggia; i servi e i soldati andavano e venivano colle lanterne, proiettando le loro lunghe ombre sui muri; il caid, ritto sulle staffe, minacciava gli abitanti invisibili delle case circostanti; e noi ci godevamo quel bel quadro del Rembrandt con un gusto infinito. Finalmente s’udì un fortissimo schianto, la porta cadde e ci rimettemmo in cammino. A poca distanza da casa, sotto una volta sepolcrale, sei soldati di fanteria ci presentarono le armi con una mano sola, tenendo coll’altra un moccolo acceso; e fu questa l’ultima scena della rappresentazione fantastica intitolata: — Un pranzo in casa del gran vizir. — Ma no; l’ultima scena fu quando, appena rientrati nel nostro cortile, ci precipitammo sulle sardine di Nantes e sulle bottiglie di Bordeaux, e l’Ussi, alzando il bicchiere sopra le nostre teste, esclamò con accento solenne: — A Sidi-Ben-Iamani Boascerin, gran vizir del Marocco, nostro graziosissimo ospite, Stefano Ussi, cristianamente perdonando, consacra!