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di cotone, di diversa grandezza, senz’orlo, tagliati in fretta e in furia poche ore prima del desinare.

Ci mettemmo a tavola a notte fatta. Il Gran Vizir rimase sulla sua materassa, col guanciale tra le braccia, discorrendo e ridendo coi suoi due parenti.

Non descriverò il pranzo; non voglio ridestare memorie dolorose. Basterà dire che furono trenta piatti, ossia trenta dispiaceri gravi, senza contare i piccoli fastidi dei dolci.

Al quindicesimo piatto riuscendo oltremodo difficile il proseguire la lotta senza il refrigerio d’un po’ di vino, l’ambasciatore incaricò il Morteo di far domandare al Gran Vizir se non gli sarebbe spiaciuto che mandassimo a pigliare qualche bottiglia di Champagne.

Il Morteo parlò nell’orecchio a Selam e Selam ripetè la domanda nell’orecchio a Sua Eccellenza.

Sua Eccellenza fece una lunga risposta a bassa voce, e intanto noi colla coda dell’occhio spiavamo ansiosamente il suo volto. Ma il suo volto non ci dava grandi speranze.

Selam s’alzò mortificato, e riferì la risposta nell’orecchio all’Intendente il quale ci diede il colpo di grazia colle seguenti parole:

— Il Gran Vizir dice che non avrebbe difficoltà.... che anzi ben volentieri acconsentirebbe....