Pagina:De Amicis - Marocco.djvu/321


fez 311


gna, s’erano avvicinate, non viste dal Gran Vizir, fino quasi a toccarci, e stavan lì piantate a guardare e a farsi guardare, con una certa compiacenza. Erano otto bei pezzi di ragazze tra i quindici e i vent’anni, alcune mulatte, altre nere, con grand’occhi, narici dilatate, seni prominenti, tutte vestite di bianco, strette intorno alla vita da una larghissima cintura ricamata, le braccia e i piedi nudi, braccialetti ai polsi, grandi cerchi d’argento alle orecchie e due grossi anelli alle gambe. Non avrebbero avuto nessuno scrupolo, ci parve, a lasciarsi pizzicare la guancia da una mano cristiana. L’Ussi accennò al Biseo il bellissimo piede d’una di esse; questa se n’accorse e si mise a osservare il proprio piede con grande curiosità. Tutte le altre fecero lo stesso, paragonando i propri ai piedi della prima. L’Ussi fece scattare il gibus; diedero un passo indietro, poi sorrisero e si riavvicinarono. Una voce del Gran Vizir, che ordinava di apparecchiare la tavola, le fece scappare.

La tavola fu apparecchiata dai nostri soldati. Un servo della casa vi piantò nel mezzo tre grosse torcie di cera vergine di vario colore. Le stoviglie erano del gran vizir: non due piatti uguali; grandi e piccoli, bianchi e dipinti, finissimi e di qualità infima, alla rinfusa. Le serviette pure appartenevano alla casa, ed erano pezzi di tela