intravvediamo un po’ di luce; poi di nuovo al buio. Entriamo in una delle strade principali, larga due metri, piena di gente. Tutti si voltano e ci si serrano intorno. I soldati gridano, urtano, picchiano per far largo, e infine si debbono contentare di farci un baluardo coi loro petti, tenendosi per mano gli uni cogli altri, per non esser divisi dalla folla. Abbiamo mille occhi addosso, ci sentiamo mancare il respiro, grondiamo di sudore, andiamo innanzi lentissimamente, fermandoci ogni tanto per lasciar passare un moro a cavallo, un asino carico di teste di montone sanguinolente, un cammello che porta una donna velata. A destra e a sinistra ci sono bazar affollati; cortili d’alberghi ingombri di mercanzie; porte di moschee, per le quali si vedono lunghissime fughe d’arcate bianche, e gente prostrata che prega. Per tutta la strada, fin dove arriva lo sguardo, non si vedono che cappucci, è tutto bianco, e si direbbe che tutti camminano in punta di piedi. L’aria è impregnata d’un odore acuto d’aloé, di spezie, d’incenso, di kif; pare di camminare in una immensa drogheria. Passano frotte di ragazzi colla testa tignosa e piena di cicatrici; vecchie deformi, senza un capello, col seno ignudo, che s’aprono il passo a forza imprecando furiosamente contro di noi; pazzi quasi nudi affatto, incoronati di fiori e di pennacchi,