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cevamo gli uni agli altri: — Sì, siamo civili, siamo i rappresentanti d’una grande nazione, abbiamo più scienza nella testa, noi dieci, che non ce ne sia in tutto l’Impero dei Sceriffi; ma piantati su queste mule, vestiti di questi panni, con questi colori, con questi cappelli, in mezzo a loro, per dio, siamo brutti! Ah! quant’era vero! L’ultimo di quegli straccioni a cavallo era più gentile, più maestoso, più degno dello sguardo d’una donna, che tutti, messi in un fascio, i bellimbusti d’Europa.

A tavola, quella sera, ci fu un’altra scenetta curiosa.

Vennero a visitare l’Ambasciatore e sedettero accanto a lui, i due più vecchi Caid della scorta.

L’Ambasciatore domandò loro: — Avete mai inteso nominare l’Italia?

Tutti e due insieme, accennando vivamente di no colla mano, risposero col tuono di chi si affretta a dissipare un sospetto: — Mai! mai!

Allora l’Ambasciatore, colla pazienza d’un maestro, diede loro alcune nozioni geografiche e politiche intorno al nostro misterioso paese.

Stettero a sentire cogli occhi spalancati e la bocca aperta come due bambini.

— E quanta popolazione ha il vostro paese? domandò uno.