tare al nostro incaricato d’affari, Comm. Stefano Scovasso. Egli non avrebbe potuto dirmi che non ero puntuale al convegno. Il giorno otto d’aprile, a Torino, avevo ricevuto l’invito, coll’annunzio che la carovana sarebbe partita da Tangeri il giorno diciannove: la mattina del diciotto mi trovavo alla porta della Legazione. Non conoscevo di persona il Comm. Scovasso; ma sapevo di lui qualche cosa, che mi dava una gran curiosità di conoscerlo. Di due suoi amici che avevo interrogati prima di partire, uno m’aveva assicurato ch’era un uomo capace d’andare a cavallo da Tangeri a Tumbuctù, senz’altra compagnia che un paio di pistole; l’altro aveva biasimato la sua pessima abitudine di rischiare la propria vita per salvare quella degli altri. In grazia di queste informazioni lo riconobbi a primo aspetto, da lontano, prima ancora che l’interprete dell’albergo, il quale m’accompagnava, me lo indicasse. Era sulla porta della Legazione, in mezzo ad alcuni arabi immobili in un atteggiamento ossequioso, che pareva aspettassero degli ordini. Mi presentai, mi ricevette da par suo, mi volle sin da quel momento ospite del quartier generale, e mi diede notizie della spedizione. La partenza era rimandata ai primi di maggio, perchè a Fez, in quei giorni, v’era l’ambasciata inglese. S’aspettavano di là i cavalli, i cammelli, i muli e