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ogni tratto di terreno corrispondente al lavoro di due buoi. Fanno al Sultano, nelle principali feste annuali, un regalo obbligatorio, che equivale presso a poco a un’imposta di cinque lire per tenda. Sborsano denaro o forniscon viveri, ad arbitrio dei governatori, quando passa il Sultano, un pascià, un’ambasciata, un corpo di soldati. Oltre a ciò, chiunque abbia denari è esposto alle estorsioni dei Governatori, non velate, non scusate da alcun pretesto, ma sfacciatamente violente. Aver fama di agiato è una sventura. Chi ha un piccolo peculio, lo sotterra, spende di nascosto, finge la miseria e la fame. Nessuno accetta in pagamento uno scudo annerito, anche se è certo che sia buono, perchè può parer levato di sotto terra e mettere in sospetto chi dà la caccia ai tesori. Quando un agiato muore, i parenti, per scongiurare la rapina, offrono un regalo al Governatore. Offrono regali per chieder giustizia, per prevenire le persecuzioni, per non esser ridotti a morir di fame. E quando finalmente la fame li strazia e la disperazione li accieca, disfan le tende, impugnano i fucili e lanciano il grido della rivolta. Che succede allora? Il Sultano sguinzaglia tremila furie a cavallo a seminare la morte nel paese ribelle. Questi tagliano teste, predano armenti, ruban donne, incendiano messi, riducon la terra un deserto coperto di cenere e di sangue, e ri-