singolare stampo d’uomo. Genovese di nascita, ancora giovane, marito d’una bella inglese, padre di due bambini vezzosissimi e ricco da poter vivere splendidamente in qualunque città d’Europa, se ne sta invece, relegato volontario, a Mazagan, piccola città posta sulla riva dell’Atlantico, a duecento chilometri da Marocco, in mezzo agli arabi e ai mori, non occupato d’altro che della sua famiglia e del suo commercio, non vedendo, per mesi e mesi, la faccia d’un europeo, e non serbando col mondo civile altra relazione che quella d’abbonato a due giornali illustrati. Di tempo in tempo viene a fare un giro in Italia o in Francia, ma vi s’annoia appena arrivato, e dai palchetti della Scala e del Grand-Opéra sospira la sua casetta moresca bagnata dalle onde dell’oceano, i suoi armenti, i suoi duar, la vita ignorata e tranquilla della sua seconda patria affricana. In quel paese, dove, non è molto, un agente consolare di Francia, preso da una malinconia disperata, diventò pazzo, e un altro cercò di seppellirsi vivo nelle sabbie della marina; egli non ha mai avuto un giorno di spleen. Parla l’arabo, mangia all’araba, vive tra gli arabi, li studia, li ama, li difende; ha contratto qualcuno dei loro difetti e parecchie delle loro buone qualità; non ha più d’europeo, insomma, che la famiglia, il vestito e la pronuncia genovese. Contutto-