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stro e il giallognolo, che parevano impastati di sostanze vegetali. Parecchi avevano il codino alla chinese. Da principio ci stavano discosti una decina di passi, guardandoci con sospetto, e scambiandosi, a bassa voce, le proprie osservazioni. Poi, vedendo che non facevamo nessun atto ostile, ci si avvicinarono a poco a poco fin quasi a toccarci e cominciarono ad alzarsi in punta dei piedi, a chinarsi, a piegarsi di qua e di là, per vederci bene da tutte le parti, come avrebbero fatto intorno a due statue. E noi due immobili. Uno ci toccò una scarpa colla punta del dito e ritirò subito la mano come se si fosse scottato; un altro mi fiutò la manica. Eravamo circondati, sentivamo ogni sorta d’odori esotici, ci pareva già che ci brulicasse addosso qualchecosa. — Andiamo, — dissi al Biseo, — è tempo di liberarsi — Io ho un mezzo infallibile, — rispose. Così dicendo tirò fuori bruscamente l’album e la matita e fece l’atto di mettersi a copiare una di quelle faccie. In un batter d’occhio si dispersero tutti come uno sciame d’uccelli.

Poco dopo ci si avvicinarono alcune donne. — Oh miracolo! — si disse noi altri. — Purchè non vengano a darci una pugnalata in nome di Maometto! — E ci tenemmo sull’avviso. Erano invece povere malate, smunte, che ave-