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disparve; l’ambasciata guadò il fiume e si trovò circondata dalla scorta nuova.

Bu-Bekr-ben-el Abbassi strinse vivamente la mano all’ambasciatore, fece un saluto amichevole al Ducali, suo antico compagno di scuola, e diede il benvenuto a tutti gli altri con un gesto pieno di maestà e di grazia.

Ci rimettemmo in cammino.

Per un pezzo, nessuno di noi potè staccar gli occhi da quell’uomo. Era il più simpatico governatore che avessimo incontrato fino allora. Di statura mezzana, di forme snelle, bruno, aveva un occhio penetrante e dolce, un bel naso aquilino e una folta barba nera; e sorridendo, mostrava due file di denti bellissimi. Era tutto ravvolto in una cappa fine e bianca come la neve, col cappuccio tirato sul turbante; e montava un cavallo nero corvino, con tutta la bardatura color celeste. Doveva essere un uomo generoso, amato e contento. E fu un inganno della mia fantasia, o anche l’aspetto dei duecento cavalieri di Karia-el-Abbassi rifletteva vagamente la gentilezza del Governatore. Mi parvero visi aperti e pacati di gente che da molti anni godesse la grazia miracolosa d’un governo umano. E quest’apparenza, e le capanne che cominciavano a farsi più frequenti per la campagna, e il tempo sereno raffrescato da un’arietta odorosa, mi diedero per qualche momento