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di tutto l’Impero. E forse in quel tempo era già predestinato un Ruqui anche per Sidi-Mohamed Ben-Auda.
Prima del tramonto del sole ci trovavamo tutti all’accampamento, ch’era posto poco lontano da quel giardino, in un piano solitario, ai piedi d’una piccola altura sulla quale si alzava una Cuba fiancheggiata da una palma.
Appena arrivato l’Ambasciatore, fu portata la mona e deposta come sempre davanti alla sua tenda, in presenza dell’Intendente, del Caid, dei soldati e dei servi. Mentre eran tutti occupati a far la solita ripartizione, vidi, alzando gli occhi verso la cuba, un uomo di alta statura e d’aspetto strano che scendeva a lunghi passi giù per la china verso l’accampamento. Non c’era da dubitarne: era il romito, il santo, che ci veniva a fare una scena. Non dissi nulla: aspettai. Invece di entrare nell’accampamento, girò infuori, per giungere inaspettato dinanzi alla tenda dell’Ambasciatore. S’avvicinò in punta di piedi. Era una figura sepolcrale, coperta di cenci neri, che metteva schifo e paura. Tutt’a un tratto spiccò la corsa, si cacciò in mezzo a noi, e riconosciuto al vestito l’Ambasciatore, gli si scagliò contro urlando come un ossesso. Ma ebbe appena il tempo d’urlare. Con una rapidità fulminea, il Caid lo af-