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atteggiamenti di satiri, con quelle faccie di mummie, non ha visto, credo, lo spettacolo più lagrimevolmente comico che si possa dare sotto la volta del cielo.

Mentre il vecchio Governatore dava il benvenuto, al ministro, i soldati tiravano fucilate in aria, e la banda continuava a sonare.

Ci avanzammo fino a un mezzo miglio dalla città, in un campo arido, dove si dovevano piantare le tende.

La banda ci accompagnò suonando.

Fu rizzata la tenda della mensa, sotto la quale ci riparammo, mentre i cavalieri della scorta facevano le solite cariche.

La banda, schierata davanti alla tenda, continuava a sonare con ferocia crescente.

Un gesto supplichevole dell’Ambasciatore li fece tacere.

Allora assistemmo a una scena assai curiosa.

Quasi nello stesso punto si presentarono concitatamente all’Ambasciatore, uno a destra e l’altro a sinistra, un nero ed un arabo. Il nero vestito signorilmente, col turbante bianco e col caffettano celeste, gli depose ai piedi un vaso di latte, una cesta di aranci e un piatto di cuscussù; l’arabo, d’aspetto povero, vestito della sola cappa, gli mise dinanzi un montone. Compiuto quest’atto, si scambiarono uno sguardo fulmineo.