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TLETA DE REISSANA.
La mattina seguente si partì prima del levar del sole con una nebbia umida e fitta che metteva freddo nelle ossa e ci nascondeva gli uni agli altri. I cavalieri della scorta avevano il cappuccio sul capo e i fucili fasciati; tutti noi eravamo ravvolti nei pastrani e nei mantelli; ci pareva d’essere in autunno, in mezzo a una pianura dei Paesi Bassi. Dietro a me non vedevo distintamente che il turbante bianco e la cappa turchina del Caid; tutti gli altri erano ombre confuse che si perdevano nell’aria grigia. Il sonno e il tempo uggioso mantenevano il silenzio. Andavamo per un terreno ineguale, coperto di palme nane, di lentischi, di ginestre, di pruni, di finocchio selvatico, raggruppandoci e sparpagliandoci di continuo secondo gli incrociamenti e le biforcature infinite dei sentieri.