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— Un sicario! mormorai.

Riconobbe subito la mia voce.

— Ferisca —, rispose.

Gli spiegai il motivo della mia visita; — ne rise di cuore, e stringendomi la mano al buio, mi augurò buona fortuna.

Uscendo inciampai in qualcosa che m’insospettì: accesi un fiammifero: era una tartaruga. Guardai intorno e vidi a due passi da me un rospo enorme, che pareva che mi guardasse. Ebbi per un momento la tentazione di rinunziare all’impresa; ma la curiosità vinse il ribrezzo e tirai innanzi.

Arrivai davanti alla tenda dell’Intendente. Mentre mi chinavo per origliare, una figura alta e bianca si alzò fra me e la porta, e disse con accento sepolcrale: — Dorme. — Detti indietro come all’apparizione d’un fantasma. Ma subito mi rincorai. Era un arabo, servo del Morteo da molti anni, che parlava un po’ italiano, e che, malgrado la mia cappa bianca, m’aveva riconosciuto a primo aspetto. Come Selam, egli riposava davanti alla tenda del suo padrone, colla sciabola al fianco. Gli diedi la buona notte e continuai la mia strada.

Nella tenda vicina, c’erano il medico e il dracomanno Salomone. Un acuto odore di medicinali l’annunziava a dieci passi all’intorno. V’era il lume acceso. Il dracomanno dormiva; il medico,