Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
124 | had-el-garbìa |
— Un sicario! mormorai.
Riconobbe subito la mia voce.
— Ferisca —, rispose.
Gli spiegai il motivo della mia visita; — ne rise di cuore, e stringendomi la mano al buio, mi augurò buona fortuna.
Uscendo inciampai in qualcosa che m’insospettì: accesi un fiammifero: era una tartaruga. Guardai intorno e vidi a due passi da me un rospo enorme, che pareva che mi guardasse. Ebbi per un momento la tentazione di rinunziare all’impresa; ma la curiosità vinse il ribrezzo e tirai innanzi.
Arrivai davanti alla tenda dell’Intendente. Mentre mi chinavo per origliare, una figura alta e bianca si alzò fra me e la porta, e disse con accento sepolcrale: — Dorme. — Detti indietro come all’apparizione d’un fantasma. Ma subito mi rincorai. Era un arabo, servo del Morteo da molti anni, che parlava un po’ italiano, e che, malgrado la mia cappa bianca, m’aveva riconosciuto a primo aspetto. Come Selam, egli riposava davanti alla tenda del suo padrone, colla sciabola al fianco. Gli diedi la buona notte e continuai la mia strada.
Nella tenda vicina, c’erano il medico e il dracomanno Salomone. Un acuto odore di medicinali l’annunziava a dieci passi all’intorno. V’era il lume acceso. Il dracomanno dormiva; il medico,