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buono e pieno di buon volere; un fanciullone ingenuo, che a guardarlo, si metteva a ridere e nascondeva il viso. Non aveva altro vestito che una lunga e larga camicia bianca, sciolta, che quando camminava, gli sventolava addosso in una maniera ridicola, e gli dava l’aria d’una caricatura di cherubino. Sapeva una trentina di parole spagnuole, e con queste s’ingegnava di farsi capire, quando era costretto a parlare; ma col suo padrone s’esprimeva quasi sempre a gesti. Così a occhio gli avrei dati venticinque anni; ma cogli arabi è facile sbagliare. Glielo domandai.
Prima si coperse il viso con una mano, poi meditò qualche momento e rispose:
— Cuando guerra España.... año y medio. Al tempo della guerra colla Spagna, che fu nel 1860, un anno e mezzo; aveva dunque diciasette anni.
— Che pezzo d’uomo per la sua età! dissi al vice-console.
— Immenso! — rispose.
Il terzo personaggio fu il cuoco dell’Ambasciatore, che ci portò il caffè; un piemontese pretto, tagliato tutto d’un pezzo in un pilastro dei portici di piazza Castello, il quale da Torino, ch’egli chiamava il giardino d’Italia, era piovuto, pochi giorni prima, a Tangeri, e non aveva ancora ritrovato sè stesso. Il pover’uomo