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had-el-garbìa 95


sotto la tenda con lui era pericoloso. Il capitano pregava me, poichè avevo maggiore famigliarità col vice-console, d’indurlo a rimettere a qualcuno le sue armi durante la notte. Io promisi di fare tutto il possibile. — Mi raccomando —; disse allontanandosi; — anche in nome del Comandante; si tratta di salvare la pelle. — Questa ci mancava! — pensai, e cercai subito il vice-console. Egli stesso mi venne accanto. Di domanda in domanda riuscii a sapere che aveva con sè un piccolo arsenale, tra armi da fuoco e armi da taglio; compreso un pugnalaccio moresco, di cui mi fece la descrizione, e che, non so perchè, mi pareva stato fabbricato apposta per farmi un buco nel cuore. Ma come fargli capire la cosa? E se non ne avesse avuto coscienza? Decisi di aspettare fino a notte, quando andassimo a letto, e per tutta la strada non mi potei più liberare da quel pensiero molesto.

Camminavamo sopra un terreno ondulato a grandi curve, in una campagna verde e solitaria. La strada, se si può chiamar strada, era formata da un gran numero di sentieri paralleli, in alcuni punti incrociati, serpeggianti in mezzo a cespugli e pietroni, infossati come letti di rigagnoli. Qualche palma e qualche aloè disegnava le sue forme nere sull’orizzonte dorato. Il cielo cominciava a coprirsi di stelle. Non