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il figlio del reggimento. |
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sul limitare da moltissimi cittadini, la più parte di ceto
signorile, frammisti ai soldati, stretti con loro a braccetto,
e tutti assorti in un conversar vivo, clamoroso,
rapido, rotto, poichè alla foga del primo entusiasmo, il
quale non trovava che lagrime e grida, era seguito un
gran bisogno di sfogarsi a parole, di farsi mille domande,
mille proteste di affetto e di gratitudine, interrompendosi
tratto tratto per guardarsi ben bene l’un l’altro nel
volto, con un sorriso che voleva dire: — Dunque gli è
proprio un soldato italiano che ho a braccetto! — Dunque
ci siamo proprio in mezzo a questi benedetti Padovani! — e
lì una gran stretta di mano e una scossa reciproca
al braccio che significava: — Sei qui; ti sento;
non ti lascio scappare. — In quella mezz’ora che si era
impiegata ad attraversar la città, si eran già strette
molte amicizie, s’eran già scambiate molte promesse di
scriversi, s’eran già fatti molti proponimenti di rivedersi
al ritorno, e stabiliti i convegni, e notati sul portafoglio
i nomi e gli indirizzi. — Mi scriverà lei il primo! — Io il
primo. — Appena arrivato al campo! — Appena arrivato
al campo. — Me lo promette? — Non dubiti. — Grazie! — E
un’altra gagliarda stretta di mano e un’altra
scossetta al braccio. E a misura che il reggimento s’avvicinava
alla porta, i dialoghi si facean sempre più rapidi,
più caldi, più rumorosi, e i gesti più concitati, e
più animata l’espressione dei volti, e si rinnuovavano
gli evviva e le grida che già erano cessate da un
po’ di tempo, e i soldati ricominciavano a sparpagliarsi,
finchè, giunti che fummo alla porta, il grosso della
folla si fermò. E lì di nuovo, figuratevi, una confusione
e un gridìo da non potersi dire; un abbracciarsi, un baciarsi,
uno sciogliersi dalle braccia dell’uno per gettarsi
in quelle d’un altro, e da questi ad un terzo, e via via,
ricambiandosi affollatamente augurii e saluti e benedi-