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il figlio del reggimento. |
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tito sonare intorno un continuo ed altissimo evviva....
Ma che! Non erano evviva, erano grida inarticolate,
rotte dai singhiozzi, soffocate dagli amplessi; erano gemiti
come di petti oppressi e spossati dalla foga della
gioia; voci di un tal accento che il mio orecchio non
aveva inteso mai prima d’allora, ma che molte volte
m’eran sonate nella mente, immaginando meco stesso
l’espressione d’una gioia superiore alle forze umane. La
folla si rimescolava con una rapidità vertiginosa, e ondeggiando
ondeggiando portava i soldati di qua, di là,
sempre però avanzando nella direzione che aveva presa
la colonna in sull’entrare; e al di sopra delle teste della
moltitudine si vedeva un grande agitarsi di braccia, di
fucili e di bandiere, e quelli e queste raggrupparsi ed
urtarsi con impeto e dividersi e sparpagliarsi subitamente
a seconda dell’impetuoso abbracciarsi e del rapido
svincolarsi che facevano cittadini e soldati; e i ragazzi afferravano
i soldati per le falde del cappotto o pel fodero della
baionetta e se ne disputavano gelosamente le mani per
piantarvi sopra la bocca; e le donne anch’esse, giovani,
vecchie, povere e signore alla rinfusa, stringevan la
mano ai soldati e mettevan loro dei fiori negli occhielli
del cappotto e domandavano soavemente se fossero venuti
di molto lontano e si sentissero stracchi, e porgevano
sigari e frutta, e offerivano la mensa e la casa, sdegnandosi
con amabile affettazione dei rifiuti e rinnovando
calorosamente inviti e preghiere; e non si vedeva in
tanta moltitudine una faccia che dalla profonda emozione
non fosse trasfigurata; occhi dilatati ed accesi, guancie
pallide e rigate di lacrime, labbra frementi; e in ogni
atto poi, in ogni cenno, in ogni movenza un che di convulso,
di febbrile, che ti si trasfondeva nel sangue mettendoti
un tremito violento per tutte le membra; tantochè
ai saluti e alle benedizioni della gente tentavi più volte