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il figlio del reggimento. |
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per porta Santa Croce nella città di Padova, che
doveva attraversare per proseguire il suo cammino verso
Venezia. Quantunque vari altri corpi dell’esercito fossero
già passati per quella città e le vie da noi traversate
fossero le più remote dal centro e d’ordinario le meno
frequenti di gente, pure l’accoglienza che ci fece il
popolo fu oltre ogni fede stupenda. Io però non me
ne ricordo che come d’un sogno; ne serbo una memoria
confusa come s’ha dei primi colloqui coll’innamorata,
da giovinetti, quando tremano le gambe e si
diventa bianchi nel viso come un cencio uscito di bucato
e intorno intorno ci si fa buio. Già, nell’avvicinarmi a
Padova, la prima grande città del Veneto che incontravamo
sul cammino, il cuore mi batteva forte e i pensieri
mi si cominciavano un po’ a confondere. Quando poi entrammo,
e una moltitudine immensa, prorompendo in
altissime grida, si precipitò fra le nostre file e le ruppe
e ci avvolse e ci sparpagliò in men di un istante da tutte
le parti, per modo che non rimase traccia dell’ordine
di colonna in cui eravamo disposti, allora la mia vista
si annebbiò e, più della vista, la mente. Ricordo d’essermi
sentito stringere molte volte al collo e alla vita da
due braccia convulse, e palpar le spalle e le braccia da due
mani tremanti; d’essermi sentito baciar nel viso da
molte bocche ardenti, con quella stessa furia che porrebbe
una madre nel baciare il suo figliuolo al primo
rivederlo dopo una lunga assenza; d’aver sentito il
contatto di molte guancie umide di pianto; d’essermi
fermato più d’una volta per liberare la mia sciabola dalle
manine d’un fanciullo che me la scoteva con violenza
perch’io mi volgessi ed avvertissi anche il suo umile
evviva; d’aver camminato per un pezzo con una mezza
serqua di mazzettini di fiori negli occhielli della tunica
che parevo uno sposo di campagna; infine di essermi sen-