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la madre. | 67 |
a quei capelli bianchi. E però, così la buona vecchia come il suo caro soldato avean vissuto, in quei quattr’anni, una vita di continue speranze e di continue aspettazioni deluse, di malinconie, di ansietà, di batticuori. Il figliuolo, partito da un paesello del settentrione d’Italia, era stato condotto, col suo reggimento, in Sicilia e vi s’era trattenuto due anni (in Sicilia, povera mamma, con quel mare così lungo fra mezzo); dalla Sicilia era passato nelle Calabrie e v’era stato un anno, un altr’anno nell’Italia centrale. Finalmente, un bel giorno, si sparse nel reggimento una voce di partenza. — Dove si va? — domandò il nostro soldato al suo sergente di squadra, e stette ad aspettar la risposta col respiro sospeso e colla mano sul cuore che gli batteva da rompersi. — Nell’Italia settentrionale — gli fu risposto. Gli si rimescolò il sangue. — Dove? — domandò un’altra volta mutandosi in volto dalla gioia; il sergente gli disse la città; era la più prossima al suo paese; pianse. La sera stessa, appena potè, scrisse a casa.
Ecco la ragione della sua allegrezza di quella sera; quella città era a poche miglia dal suo villaggio.
Ora, con quel ch’io seppi dappoi e quel ch’io vidi e quel ch’io non potei che immaginare o supporre, ma che può e dev’essere accaduto tal quale, voglio farvi un racconto che forse vi farà venir la voglia di dare un bacio un po’ più forte del solito a vostra madre.
Eran trascorsi due giorni da quel dell’arrivo. Il nostro soldato stava ancora ventilando il disegno di chiedere un congedo di pochi giorni per volare a casa, quand’ecco, una bella sera, nel dormentorio della compagnia, il furiere cerca di lui, e, trovatolo: — To’ — gli dice porgendogli una lettera — vien di vicino. — Glie l’avea porta appena, ch’era già dissigillata e spiegata al chiarore d’una lucerna, in un cantuccio del camerone