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64 | la madre. |
poste, un suonar violento di spranghe e uno scorrere rumoroso de’ paletti negli anelli, e un darsi e un ricevere la buona notte dagli operai che vanno a casa. Rimangono aperte le botteghe signorili, illuminate, lucenti, dalle ampie vetrine, dalla soglia affollata di curiosi; notevoli, fra le altre, quelle de’ librai, per quei concistori di letteratoni antiquati, tabaccosi, colle chiome lunghe e scarmigliate, rincantucciati là in fondo a brontolar di politica barbogia o di cartapecore dissotterrate; i caffè pieni zeppi di avventori avvolti in una gran nebbia di fumo, e un cicalìo rumoroso che, ad ogni aprire e chiudere della vetrata, risuona a ondate nella via. Nelle piazze, come dissi, e nelle strade un vero formicolìo, e un andirivieni di carrozze veloci.
Era una di codeste belle sere, quando il mio reggimento, giunto la mattina in una delle più cospicue città d’Italia, si trovava sparpagliato per le vie aspettando che si sgombrasse la caserma ch’ei doveva occupare, e si desse nei tamburi per la ritirata.
I soldati erano tuttora in pieno assetto di marcia, le ghette abbottonate sopra i calzoni, la giberna alla cintura, la sacca del pane e la borraccia a tracolla. Stanchi della marcia e tuttora bianchi di polvere i panni e i capelli, stavan fermi a gruppi sulle cantonate, le spalle al muro, le braccia incrociate sul petto, l’una gamba piegata sull’altra; o immobili dinanzi alle botteghe degli orefici a contemplare a bocca aperta quelle vetrine tappezzate di medaglie e di croci d’ogni forma e d’ogni colore, a cui gl’impiegati vecchi e i maggiori anziani sogliono, passando, lanciare un’amorosa occhiata di traverso, e un sospiro. Molti s’erano impancati nelle osterie a rifocillarsi con un sorso di vino; altri, i meno rifiniti, vagavano per le vie. Tutti però, o quasi tutti, avevano la cera seria, ingrognata, e parlavano rado,