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la madre. 63

che hanno lavorato in casa dal levar del sole al tramonto, scendono, saltellando, le scale, incontrano sulla soglia della porta le vicine che stavano ad aspettare, fan crocchio e levano un cicaleggio garrulo e vivace, aggruppando le testoline come i fiori di un mazzetto, e facendo rotare attorno all’indice teso il nastro delle forbici attaccato alla cintola, e rispondendo alle parolette bisbigliate dai giovani che passano: — Grazioso! col cuore, e colla bocca: sfacciato! — E volgon loro, con un moto dispettoso, le spalle, non tanto però che colla coda dell’occhio non arrivi a squadrarli dalla testa ai piedi per veder chi sono e come sono. Altre, schierate in quattro o cinque a braccetto, col capo scoperto, giungono fino in fondo alla via, toccandosi nei gomiti al passar dell’uno e dell’altro, e parlandosi nell’orecchio e ridendo forte, e volgendosi di quando in quando a garrire con un piglio materno alle più piccine che scorrazzano attorno. Intanto i garzonetti vengon via dalle fabbriche e dalle officine col cappello schiacciato sur un orecchio, la giacchetta gettata a casaccio sopra una spalla, un mozzicone di sigaro sprezzatamente addentato e volto e rivolto fra le labbra nere; vengon giù a stormi per la via, dimenando le spalle con quel certo vezzo sgarbato e vociando lo stornello di moda; s’imbattono in quelle fanciulle, si accostano, dan del gomito nel gomito, del ginocchio nei cerchi, una gran boccata di fumo nel viso; le poverette si sparpagliano strillando, tossendo, passando le mani sugli occhi lagrimosi.

I monelli staccano coll’unghie e tiran giù dai muri gli avvisi de’ teatri; i fanciulletti fanno il chiasso nelle piazze, e le madri, ritte in crocchio sulle porte coi bimbi in collo, indugiano il grido consueto: — A letto! — grazie alla tepidezza inconsueta dell’aria e alla serenità purissima del cielo. Lungo le vie, dalle botteghe a dritta e a sinistra, si sente uno sbatter continuo d’im-