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54 | una sassata. |
— È proprio lui? — Proprio lui. — Ma davvero? — Ma sì vi dico, è quello stesso. — Ah, razza di cane, adesso t’aggiustiamo noi pel dì delle feste. Aspetta, aspetta. —
E si mossero tutti verso la sentinella. A una trentina di passi, si fermarono, si schierarono, e la stettero guardando in cagnesco. Il soldato stava là, accanto al suo casotto immobile, rigido, colla testa alta e gli occhi fissi in quelle bieche figure che gli si erano parate dinanzi. Ad un tratto, si stacca dal gruppo un giovanastro cencioso, col cappello schiacciato sur un orecchio e un mozzicone di sigaro in bocca, si fa innanzi colle mani in tasca canterellando in aria di corbellatura, e si viene a piantare a un quindici passi di fronte alla sentinella, figgendole in faccia uno sguardo insolente, e incrociando le braccia e atteggiando tutta la persona ad una sprezzante spavalderia.
Il soldato lo guardò.
Allora quel giovanastro girò improvvisamente sui tacchi e gli voltò le spalle, dando in una gran risata di concerto cogli altri, che lo stavano a guardare istigandolo co’ cenni a farsi onore e a dar qualche bella prova di sè.
Il soldato scrollò due o tre volte la testa, strinse le labbra e mandò fuori un lungo sospiro, battendo ripetutamente il piede in terra come per dire: — Ah la pazienza! la pazienza!... è una cosa dura! —
Il monello si voltò un’altra volta di fronte al soldato e, dopo un istante di esitazione, si tolse di bocca il mozzicone di sigaro e glielo gettò ai piedi, indietreggiando di otto o dieci passi per mettersi al sicuro da uno scoppio d’ira e da un assalto improvviso.
Il soldato tremò, impallidì e alzò gli occhi al cielo stringendo i pugni e arrotando i denti; gli si cominciava a offuscar la ragione. — Ma perchè mi fate così? — diceva