che animo, quando malata dissimulava il dolore e il pericolo
per non atterrirmi. E pensando a te, al bene che
mi vuoi, alla stima che fai del mio cuore e del mio carattere,
l’idea, soltanto l’idea d’un atto ignobile e dappoco
mi metteva orrore perchè mi pareva un oltraggio
a te, e meglio che oltraggiarti morire. E anch’io,
sai, mi rifacevo in mente la tua storia, in quelle
lunghe sere passate sotto la tenda; e come i bambini
fantasticano il paradiso a modo loro, io mi sognava
di vederti bambina; e poi fanciulla; quando là nel tuo
giardino di Savona leggevi i libri che mi ponesti tra le
mani pei primi; e poi sposa e poi madre, quand’ero
malato, e tu per ricrearmi facevi que’ cappellini di carta,
ti ricordi? e te li mettevi in testa e sonavi il tamburo
con due righe sulla spalliera della seggiola, e mi portavi
il caffè a letto, e io non volevo, e tu mi dicevi: — Lasciatelo
portare; queste sono le mie consolazioni. — E
poi tutta l’assistenza che hai fatto al mio povero padre
infermo, quelle lunghe notti vegliate: cara! santa! E poi
quando son tornato la prima volta dal collegio e tu m’hai
baciato la tunica. — Ma chi è questa donna? — mi domandavo:
guarda che pazzo; perchè mi ama, perchè mi adora
tanto, che io per lei sono la vita, il mondo, la felicità?
In grazia di che tutto questo? Che meriti ho io? Chi
sono? Ce ne son ben tante altre madri che non sono,
che non fanno come lei, e perchè Iddio doveva proprio
destinarlo a me quest’angelo? O perchè almeno non le
ha dato un figliuolo più degno? No, no, lasciamelo
dire; com’esserti grato abbastanza? come compensarti?
Ti mettessi anche ai piedi la corona del mondo, ti renderei
io forse la millesima parte del bene che mi ha fatto
codesta tua bell’anima, codesto tuo santo cuore? Senti:
te l’ho sempre detto, te lo ridico, te lo dirò eternamente,
te lo ripeterei nel mio ultimo istante; voialtre