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partenza e ritorno. 419

che animo, quando malata dissimulava il dolore e il pericolo per non atterrirmi. E pensando a te, al bene che mi vuoi, alla stima che fai del mio cuore e del mio carattere, l’idea, soltanto l’idea d’un atto ignobile e dappoco mi metteva orrore perchè mi pareva un oltraggio a te, e meglio che oltraggiarti morire. E anch’io, sai, mi rifacevo in mente la tua storia, in quelle lunghe sere passate sotto la tenda; e come i bambini fantasticano il paradiso a modo loro, io mi sognava di vederti bambina; e poi fanciulla; quando là nel tuo giardino di Savona leggevi i libri che mi ponesti tra le mani pei primi; e poi sposa e poi madre, quand’ero malato, e tu per ricrearmi facevi que’ cappellini di carta, ti ricordi? e te li mettevi in testa e sonavi il tamburo con due righe sulla spalliera della seggiola, e mi portavi il caffè a letto, e io non volevo, e tu mi dicevi: — Lasciatelo portare; queste sono le mie consolazioni. — E poi tutta l’assistenza che hai fatto al mio povero padre infermo, quelle lunghe notti vegliate: cara! santa! E poi quando son tornato la prima volta dal collegio e tu m’hai baciato la tunica. — Ma chi è questa donna? — mi domandavo: guarda che pazzo; perchè mi ama, perchè mi adora tanto, che io per lei sono la vita, il mondo, la felicità? In grazia di che tutto questo? Che meriti ho io? Chi sono? Ce ne son ben tante altre madri che non sono, che non fanno come lei, e perchè Iddio doveva proprio destinarlo a me quest’angelo? O perchè almeno non le ha dato un figliuolo più degno? No, no, lasciamelo dire; com’esserti grato abbastanza? come compensarti? Ti mettessi anche ai piedi la corona del mondo, ti renderei io forse la millesima parte del bene che mi ha fatto codesta tua bell’anima, codesto tuo santo cuore? Senti: te l’ho sempre detto, te lo ridico, te lo dirò eternamente, te lo ripeterei nel mio ultimo istante; voialtre