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partenza e ritorno. 417

dre, tratto un sospirone in cui si sentiva tutta la storia della guerra, cominciò a dirmi con voce commossa: — Che giorni ho passati, figliuol mio, che ansietà, che terribili batticuori! Non te lo scrivevo per non rattristarti; ma mi pareva deserta questa casa dopo la tua partenza! Non sentir più, a quella solita ora, il tuo passo concitato su per le scale, la tua voce allegra, quella scampanellata che ci faceva correre tutti a chi arrivasse pel primo, non esser più messa in riga coi nipotini del tuo papà; non aver più da starti intorno perchè non ti dimenticassi l’ora della piazza d’armi.... Che sere lunghe, eterne! E il giorno poi! Se splendeva il sole, — povero Alberto, in marcia con questo caldo! — Se pioveva, — povero Alberto, se la piglia tutta! — La sera avevo quasi vergogna di andare a letto pensando che tu dormivi sulla terra, e, quando tuonava, mi svegliavo, accendevo il lume e dicevo: È impossibile, è impossibile ch’io dorma con questo tempo! Chi sa dove sarà adesso quel povero figliuolo! — Ero persino diventata superstiziosa dal continuo tremare e tormentarmi per te; andavo a cercare una cosa, e dicevo tra me: — Se la trovo, non gli seguirà nessuna disgrazia: se non la trovo;... — come le donnicciuole. A guardare i tuoi vestiti, i tuoi libri, tutte le tue cose, mi si stringeva il cuore. Mi era un tormento il vedere e sentire che qui nel vicinato c’era della gente allegra; veder dei giovanotti della tua età e della tua condizione passeggiare per la città tranquilli e contenti mi faceva male; mi affacciavo alla finestra a guardare quei pochi soldati che passavano, e li guardavo sin ch’erano spariti; mi pareva che avessero un po’ di te. Leggevo e rileggevo tutte le tue lettere degli anni andati, e mi rifacevo in mente la tua storia, la nostra, a cominciare dalle notti che ti vegliavo

bambino, e poi quando andavi a scuola, e io


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