dre, tratto un sospirone in cui si sentiva tutta la storia
della guerra, cominciò a dirmi con voce commossa: — Che
giorni ho passati, figliuol mio, che ansietà, che
terribili batticuori! Non te lo scrivevo per non rattristarti;
ma mi pareva deserta questa casa dopo la tua
partenza! Non sentir più, a quella solita ora, il tuo
passo concitato su per le scale, la tua voce allegra,
quella scampanellata che ci faceva correre tutti a chi arrivasse
pel primo, non esser più messa in riga coi nipotini
del tuo papà; non aver più da starti intorno perchè
non ti dimenticassi l’ora della piazza d’armi.... Che
sere lunghe, eterne! E il giorno poi! Se splendeva il
sole, — povero Alberto, in marcia con questo caldo! — Se
pioveva, — povero Alberto, se la piglia tutta! — La sera
avevo quasi vergogna di andare a letto pensando che tu
dormivi sulla terra, e, quando tuonava, mi svegliavo,
accendevo il lume e dicevo: È impossibile, è impossibile
ch’io dorma con questo tempo! Chi sa dove sarà
adesso quel povero figliuolo! — Ero persino diventata
superstiziosa dal continuo tremare e tormentarmi per te;
andavo a cercare una cosa, e dicevo tra me: — Se la
trovo, non gli seguirà nessuna disgrazia: se non la
trovo;... — come le donnicciuole. A guardare i tuoi vestiti,
i tuoi libri, tutte le tue cose, mi si stringeva il
cuore. Mi era un tormento il vedere e sentire che qui
nel vicinato c’era della gente allegra; veder dei giovanotti
della tua età e della tua condizione passeggiare per
la città tranquilli e contenti mi faceva male; mi affacciavo
alla finestra a guardare quei pochi soldati che passavano,
e li guardavo sin ch’erano spariti; mi pareva
che avessero un po’ di te. Leggevo e rileggevo tutte le tue
lettere degli anni andati, e mi rifacevo in mente la tua
storia, la nostra, a cominciare dalle notti che ti vegliavo
bambino, e poi quando andavi a scuola, e io