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416 partenza e ritorno.


Ah! non è più fantasia! Ecco le belle colline di Torino, ecco la cinta, ecco quei campi, quelle case, ecco le prime mura della stazione; oh chetati cuore! Coraggio, su lo sguardo; ah! ecco i tre palazzi di Via Nizza! La finestra! Cielo! chi c’è alla finestra che alza ed abbassa le braccia in atto di saluto? È lui! è lui! è il mio papà!... Che sento! la musica! le fiaccole! Tutto come quella sera! Il convoglio si ferma, salto a terra, esco di corsa, ecco la folla, eccoli! eccoli tutti! mi hanno veduto, m’apron le braccia.... — Ah! madre! — Sento ancora intorno al collo la stretta vigorosa di quelle due braccia convulse, odo ancora quella musica, veggo ancora quella luce.

Siamo davanti all’uscio di casa, si apre, mi getto nelle braccia del mio buon papà, che piange e ride senza poter far parola; ecco tutti i suoi nipotini, un bacio per uno, forte, che lasci il segno; ecco la signora napoletana, ecco suo figlio. — Grazie della carta topografica! — Risa generali; arrivano altri vicini; sostengo un assalto impetuoso di saluti, di felicitazioni, di strette di mano, di domande; mia madre mi si stringe ai panni, mi disputa a tutti, mi guarda, mi tocca le braccia, le mani, le spalle, se son tornato tutto intero; le mie sorelle girano di qua e di là per farsi un po’ di strada e venirmi a riabbracciare; i bambini mi saltano intorno; è una festa.

Finalmente, a poco a poco, i vicini e gli amici se n’andarono; se ne tornò a casa mia sorella maggiore; se n’andò a dormire, colle lagrime agli occhi, anche l’altra; mio fratello uscì, e non restammo che mia madre ed io.

Appena soli, ci sedemmo in gran fretta l’uno di fronte all’altra, avvicinando le seggiole e pigliandoci per tutt’e due le mani, come fanno gl’innamorati quando restano un momento senza testimoni, e mia ma-